di Giuliano Anderlini e Marina Berati
giugno 2002
Cos'è il cancro? Esistono più di 200 forme di cancro che interessano gli esseri umani. Semplificando, quel che hanno in comune è la riproduzione incontrollata di cellule difettose. In un organismo in piena salute, le cellule muoiono sistematicamente, e altre cellule dello stesso tipo prendono il loro posto: una nuova cellula per ogni cellula morta. Questo rapporto uno-a-uno viene a mancare quando una singola cellula con caratteristiche particolari, detta "oncogena", inizia a riprodursi senza controllo e diventa un neoplasma maligno, vale a dire un aggregato formato da milioni di repliche di quella cellula difettosa. Il tipo di cellula e il punto del corpo in cui si trova definiscono il tipo di cancro: cancro al seno, leucemia (per certi tipi di cellule sanguigne), cancro al colon, cancro al polmone, ecc.
Nel 1971, negli USA, l'amministrazione Nixon dichiarò guerra al cancro. Da allora, ogni anno sono stati spesi miliardi di dollari in questa guerra. Ma dal 1973 al 1992, il tasso di morte per cancro è aumentato del 6,3%.
Fino ad oggi, gran parte della ricerca è stata svolta su animali, quasi sempre roditori (topi e ratti, soprattutto), per via delle loro piccole dimensioni, grande prolificità e vita media ridotta, poca simpatia verso di loro da parte del pubblico. Ma i topi, i ratti, e qualunque altra specie animale, non servono per studiare una malattia che si sviluppa nell'uomo in un modo del tutto diverso. In generale, non solo per lo studio del cancro, gli animali non sono adatti come modelli sperimentali per l'uomo. Ogni specie animale è infatti biologicamente, fisiologicamente, geneticamente, anatomicamente molto diversa dalle altre e le estrapolazioni dei dati da una specie all'altra sono del tutto fuorvianti.
In particolare, nel caso del cancro, possiamo affermare che tutti i vertebrati sono soggetti a cancro, e quindi i ricercatori sono in grado di provocare il cancro negli animali di laboratorio mediante stimoli fisici e chimici, o mediante innesti o iniezioni di tessuto canceroso, ma questi cancri non sono paragonabili con quelli che nascono spontaneamente nell'uomo. Oltre a notevoli diversità biochimiche e morfologiche, essi non producono metastasi (cioè la diffusione delle cellule tumorali in altre parti del corpo), mentre è proprio questo evento che, nell'uomo, è la causa principale del decorso mortale della malattia. Questo evento non può essere provocato né con mezzi chimici né con mezzi fisici, in alcun animale, nemmeno nei primati.
Dei 200 tipi di cancro che colpiscono gli esseri umani, alcuni hanno delle similitudini con altre forme di cancro che colpiscono altri animali, ma la loro natura è profondamente diversa, in termini di cause, di effetti, di cure e di prognosi. Il cancro è specie-specifico. Le differenze tra le specie sono evidenti sotto l'aspetto molecolare, immunologico, e genetico. Ad esempio, un medico che avesse un cane sarebbe disperato nel sapere che l'animale ha un istiocitoma a una zampa, perché sa che negli esseri umani questa forma di cancro è gravemente maligna e porta con sé una prognosi infausta. Invece, i cani guariscono da questa malattia senza bisogno di cure.
Dato un certo composto chimico, la sua cancerogenicità sarà diversa nell'uomo e nelle altre specie. La benzedrina, per esempio, causa tumore alla vescica negli umani, tumore al fegato nei criceti, e tumori alle orecchie nei ratti.
La storia dello studio del cancro (come del resto accade per lo studio di tutte le altre malattie) è costellata di casi in cui sono state compiute importanti scoperte cliniche (cioè dall'esame da parte dei medici di esseri umani malati, o dalle autopsie) o epidemiologiche (cioè dallo studio di larghe fasce di popolazione), scoperte che l'establishment medico ha poi voluto "validare" sugli animali da laboratorio. Riproponendole così, nei casi in cui in qualche specie si riusciva a riprodurre lo stesso risultato, come "scoperte dovute alla ricerca su animali". Negli altri casi, ritardando semplicemente l'applicazione di tali scoperte, e causando così danni enormi al progresso medico. Vediamo alcuni esempi.
Alla fine degli anni cinquanta già si sapeva che l'esposizione al catrame causava il cancro allo scroto, in quanto si trattava di una malattia comune tra gli spazzacamini. Questo portò i ricercatori ad applicare catrame alle orecchie dei conigli e ai topi, per "validare" un dato già noto sugli esseri umani. I conigli svilupparono il cancro. I topi no. Cosa si sarebbe dovuto dedurre, che i conigli sono simili agli spazzacamini e i topi no? [1]
Inoltre, il cromo si è dimostrato cancerogeno per gli umani ma non per gli animali. Anche la correlazione tra radiazioni e cancro era già riportata negli studi di quell'epoca.
La relazione tra amianto e cancro umano fu descritta già nel 1907, sulla base di evidenze cliniche. Ma i ricercatori intendevano dimostrare lo stesso risultato in altre specie animali, senza successo. Anche se negli animali si verificavano lesioni dolorose, sparivano non appena veniva allontanata la fonte di amianto: negli animali la malattia non era permanente. Nel 1965 la New York Academy of Science assicurava che tutti gli studi su animali riguardanti la pericolosità dell'amianto non avevano dato esito positivo, ritenendo quindi l'amianto un prodotto sicuro. Così, mentre i ricercatori studiavano i possibili effetti tossici dell'amianto sugli animali, la gente continuava a morire per gli effetti della stessa sostanza. Ci sono voluti trent'anni perché l'enorme mole di dati sugli umani convincesse anche gli sperimentatori più recalcitranti. [2]
Tra il 1970 e il 1985, furono provati su animali 500.000 composti, per valutarne l'effetto anticancro. Solo ottanta furono giudicati adatti a passare alla fase clinica (test su esseri umani). Solo ventiquattro di questi si rivelano efficaci come anticancro per gli esseri umani. E già questo ci fa capire la scarsa utilità della sperimentazione preventiva su animali. Ma non basta, di questi 24 solo 12 hanno poi giocato un ruolo importante nella chemioterapia. Ma tutti e dodici erano solo delle varianti di agenti chemioterapici già noti, la cui efficacia poteva quindi essere già dedotta dalla loro struttura chimica. [3,4,5]
I topi vanno molto soggetti ai tumori alle ghiandole mammarie, al fegato, alla pituitaria, alla tiroide, ai polmoni e al sistema linfatico, e vengono dunque usati come modello per lo studio di questo genere di tumori nell'uomo. Ma anche se sono localizzati nelle stesse regioni, non sono lo stesso cancro. Inoltre, nei topi l'incidenza di questi cancri è così alta che è difficile stabilire se è stato il prodotto chimico sotto test a causare il cancro o se si è formato spontaneamente. [6,7]
Viceversa, altri tumori comuni nell'uomo, come quelli alla prostata, al colon, al retto, sono rari nei roditori, e quindi è molto difficile per i ricercatori riprodurli negli animali, e quando ci riescono si sviluppano tumori molto diversi. Ad esempio, il tumore al colon uccide i ratti per ostruzione del colon stesso. Negli uomini esso uccide per metastasi in tutte le altre parti del corpo. Il tumore all'intestino, nel ratto, di solito non si diffonde, è l'intestino tenue a essere colpito, mentre negli umani è molto più frequentemente colpito il colon. Nonostante queste enormi differenze tra specie, entrambi questi tipi di cancro vengono chiamati "cancro al colon", e si investono miliardi per i test sui ratti per ottenere informazioni che mai potranno essere applicate all'uomo.
Basti pensare che anche tra topi e ratti, infinitamente più simili tra loro di quanto lo siano all'uomo, vi sono forti diversità: il 46% dei prodotti chimici cancerogeni per i ratti non lo sono per i topi [8]. E i topi sviluppano tumori in risposta ad agenti chimici che non sono cancerogeni per i ratti [9], ad esempio, i tumori al fegato vengono provocati nei topi tramite alcuni composti chimici che invece risultano innocui per ratti e criceti.
Lo stesso composto considerato cancerogeno dà risultati diversi non solo tra specie diverse ma, addirittura, tra diversi ceppi delle stessa specie. Ad esempio, nei topi del ceppo C3HF l'uretano provoca epatomi, tumori del tessuto reticolo-endoteliale, tumori polmonari; nei topi del ceppo C57B1 provoca linfomi timici; nell'uomo l'uretano è un buon rimedio contro la leucemia. Il benzene e l'arsenico, cancerogeni per l'uomo, non lo sono per nessuna specie dei roditori comunemente usate nei laboratori sperimentali. L'idrazide dell'acido isonicotinico (INH) provoca adenomi e adenocarcinomi bronchiali in diversi ceppi di topi, ma nulla di simile è stato notato nell'uomo, nonostante l'enorme uso fattone per la cura delle tubercolosi da quarant'anni a questa parte.
Negli animali di laboratorio il cancro viene creato artificialmente esponendo gli animali alla massima dose tollerata (MDT) di un dato composto cancerogeno. Ovviamente, un'esposizione di questo genere è ben diversa da quella che si riscontra nella vita reale, in cui un individuo è sottoposto a piccole dosi di sostanza tossica per un tempo molto lungo. I danni permanenti che la MDT causa negli animali sono così invasivi per la salute generale dell'organismo che non si può trarre alcuna conclusione riguardo all'esposizione a dosi più basse [10]. Inoltre, le condizioni di estremo stress in cui gli animali sono tenuti interferiscono con l'accuratezza del risultato (e quindi non sarebbero validi nemmeno per animali della stessa specie), a causa dell'esposizione alle infezioni, a certi tumori, e alla distruzione della regolazione ormonale.
Gli stessi sperimentatori riconoscono la non validità dei loro test, ogni volta che un composto già in commercio, notoriamente non nocivo per l'uomo, risulta cancerogeno per gli animali. In questo caso fa loro comodo ammettere che "l'uomo e gli animali sono diversi", per non arrecare danni economici alle case farmaceutiche. Come nel caso delle scoperta che il perossido di benzoile, usato in un medicamento antiacne, provocava tumori in certi ceppi di ratto. [11] O, viceversa, quando si vuol mettere in commercio un farmaco che risulta cancerogeno per gli animali, ma dai test sugli umani risulta sicuro, per legge è possibile farlo. La Wellcome, quando mise in commercio sostanze che avevano prodotto cancro vaginale a tutti gli animali usati nella sperimentazione, si giustificò dicendo: "Questi test, obbligatori per ottenere le autorizzazioni alla vendita del prodotto, non permettono di stabilire il minimo parallelo con l'uomo".
La nuova strada scelta dagli sperimentatori su animali per cercare di rendere meno fallaci le loro ricerche consiste nel manipolare geneticamente gli animali per renderli più simili all'uomo. L'"oncomouse", creato e brevettato a questo scopo, contiene geni umani che inducono il cancro negli embrioni di topo. Ma questo non è bastato, perché "nel corso dello sviluppo del tumore è noto da anni che topi e uomini sono del tutto diversi... i geni soppressori del tumore e gli oncogeni si comportano in modo molto diverso nel topo e nell'uomo [12]. Altre invenzioni sono gli "xenograft mice", topi a cui è stato indotto il cancro innestando loro tumori umani, dai quali si possono ricavare farmaci efficaci a guarire i topi ma non l'uomo [13]. Il National Cancer Institute americano ha indotto 48 tipi diversi di tumori in questo genere di topi, provando a curarli con 12 diverse medicine anticancro già dimostratesi efficaci per gli umani. In 30 casi su 48, le medicine non funzionavano, il che significa che nel 63% dei casi questi topi si dimostrano un modello non valido per il cancro umano. Peggio che tirare una moneta.
Questo genere di ricerca, basato su animali, dimostra troppe falle per poter ancora essere giustificato. Ferma a un paradigma già errato nell'epoca in cui è stato concepito, la ricerca su animali ignora le enormi opportunità che la tecnologia moderna offre per lavorare su modelli basati sullo studio dell'uomo. E' ormai obsoleta.
Come dichiara il prof. Umberto Veronesi, oncologo, ed ex Ministro della Salute: "Gran parte delle ricerche sul cancro svoltesi nella prima metà di questo secolo è stata eseguita, come si è visto, soprattutto su animali di laboratorio. Si sperava di ottenere un modello sperimentale che riproducesse nell'animale le condizioni di sviluppo dei tumori umani e di poter trasferire all'uomo i risultati ottenuti.
Ma intorno agli anni Sessanta ci si è resi conto che questa seducente ipotesi di lavoro non era realizzabile. I tumori dei topi, dei ratti, dei polli o delle cavie sono sostanzialmente diversi da quelli dell'uomo; diverso è il loro modo di formarsi; diverso il loro modo di accrescersi; diverso è il loro modo di metastatizzare. Perciò, nonostante l'enorme mole di informazioni che gli studi sperimentali ci avevano fornito sul fenomeno 'cancro', l'utilizzazione in campo umano di tali informazioni rimaneva nel complesso trascurabile.
Era dunque necessario trasferire le ricerche direttamente sui tumori dell'uomo".
Ecco una breve carrellata dei metodi scientifici moderni che si possono usare efficacemente nello studio dei tumori.
In questi decenni dedicati alla "Guerra contro il cancro", molti esperti nel campo delle ricerca sul cancro si sono espressi a favore della ricerca clinica e contro quella su animali. Il termine "clinica" indica la reale osservazione e la cura di pazienti malati, piuttosto che le congetture e le sperimentazioni su animali che non trovano mai riscontro nella realtà.
La prima medicina efficace per la cura del cancro venne scoperta sul campo di battaglia. Durante la prima guerra mondiale, i medici notarono che i soldati esposti al gas nervino iprite presentavano un numero di globuli bianchi al di sotto della norma. Provarono così a usare questa sostanza nella chemioterapia per combattere le leucemie e i linfomi scoprendo così il primo farmaco efficace contro il cancro.
Al contrario, sperimentando su animali si trovano sostanze che sono efficaci sulla specie animale usata, ma che possono esserlo o meno per l'uomo, rendendo così inutile l'esperimento sull'animale. Meglio concentrarsi sullo studio dell'uomo, che fornisce dati utili sulla specie che si intende curare, quella umana. Ad esempio, gli esperimenti su animali avevano suggerito che per la cura del cancro sarebbe stato utile l'acido folico. Negli esseri umani, il risultato fu disastroso: faceva peggiorare il cancro. Gli scienziati decisero quindi di provare a somministrare un farmaco che inibisse l'acido folico, il metotressato, direttamente all'uomo, in particolare a bambini che soffrivano di leucemia. Oggi, questa sostanza è un chemioterapico largamente usato. [14]
Per quanto riguarda la diagnosi, ogni genere di cancro è stato osservato prima di tutto su pazienti umani, e descritto su quella base. Come dichiara il dott. Alexander Haddow, "Gli effetti della leucemia sono stati determinati solo in base ad osservazioni cliniche. Le varie leucemie nei topi e ratti sono state relativamente refrattarie agli effetti dell'uretano, e i notevoli effetti negli esseri umani se ci si fosse limitati allo studio degli animali avrebbero potuto non essere mai scoperti. Questo ben descrive la pericolosità di un tale metodo di ricerca. [15]
Nonostante molte compagnie farmaceutiche continuino a usare animali, i metodi migliori per l'esame del potenziale cancerogeno e di quello curativo dei vari composti chimici sono quelli basati sulla tecnologia in vitro.
Il test di Ames, che utilizza il batterio Salmonella typhimurium per il test di mutagenicità è più veloce, meno costoso e più affidabile dei test su animali. [16,17] Il "DNA repair test" di Williams utilizza cellule di fegato, che possono essere di fegato umano. Usando una combinazione di questi due test si ottiene un metodo molto accurato.
I test in vitro hanno confermato o identificato il potenziale cancerogeno del benzene, del cloruro di vinile, dell'arsenico e del cromo. [18]
Per quanto riguarda le possibilità curative, oggi gli scienziati possono realizzare colture cellulari dello specifico tumore di un dato paziente, e provare su di esse i vari composti, sviluppando così cure altamente personalizzate.
L'epidemiologia consiste nello studio dello stile di vita di larghe fasce di popolazione, e nella correlazione di questo con le malattie che insorgono. In pratica studia "chi si ammala di cancro, e perché". Tiene traccia di tutti i tipi di materiali e ambienti cancerogeni, in modo da definire delle strategie di prevenzione. Questo genere di raccolta-dati ha evidenziato che il fumo, l'alcol, le radiazioni, una dieta errata, e la mancanza di esercizio, non sono soltanto dannosi, ma anche potenzialmente cancerogeni. Ha evidenziato la correlazione tra il fumare la pipa e il cancro alla bocca, il lavoro di radiologo col cancro alla pelle, il lavoro nell'industria delle vernici e il cancro alla vescica, e il lavoro a contatto col carbone con il cancro ai polmoni. [19]
I risultati degli studi epidemiologici sono stati sempre contrastati dai risultati degli esperimenti su animali, come è accaduto per l'amianto e per il tabacco. Di tutti i generi di cancro, quello ai polmoni ha la più alta mortalità, circa mezzo milione di persone l'anno nei soli Stati Uniti. [20] La correlazione tra consumo di tabacco e cancro era già ipotizzata dal '700, e dimostrata da diversi studi alla fine di quel secolo. Prima del 1963 erano già stati compiuti 27 studi sugli esseri umani che la dimostravano [21]. Ma i protocolli esistenti imponevano (e tuttora impongono) che risultati già noti per l'uomo fossero "dimostrati" anche sugli animali. Sugli animali, però, questi risultati non si riuscivano a riprodurre. Questo giovò molto alla lobby del tabacco, che arrivò a pagare dei medici per pubblicizzare le sigarette, negli anni '50 e '60. Gli esperimenti su animali furono il loro alibi. Questo dato, da solo, dovrebbe bastare a spazzare via per sempre questo metodo inaffidabile e fallace.
Anche la connessione tra fumo passivo e cancro fu stabilita tramite studi epidemiologici. [22]
Altre scoperte dell'epidemiologia: il legame tra cancro e la fibra di vetro, che non si riuscì a "dimostrare" tramite studi su ratti, criceti, porcellini d'India, topi, scimmie e babbuini [23,24,25]. Il legame tra uno smodato consumo di carne (abituale nei paesi occidentali) e di cibi ad alto contenuto di grassi, e il cancro. [26,27]
Dall'osservazione di esseri umani malati di cancro, e non di animali, i ricercatori sono riusciti a scoprire che alcuni geni attivano e disattivano il proliferare incontrollato di cellule maligne. A queste scoperta hanno contribuito le osservazioni cliniche, l'epidemiologia, la ricerca in vitro. Tramite quest'ultima si stanno ora progettando delle cure mirate a questi geni.
Ad esempio, consideriamo il cancro alla pelle (melanoma). Il primo rapporto inglese su questa malattia risale al 1820 ed era uno studio epidemiologico, che descriveva una famiglia che andava soggetta a lesioni della pelle. Negli anni '70 gli scienziati iniziarono a studiare il gene umano responsabile del cancro. Scoprirono che la presenza di un tipo di neo, il nevo displastico, poteva portare a un melanoma maligno. Una volta identificate le persone a rischio, i ricercatori studiarono i loro geni. Scoprirono che il gene CMM1 del cromosoma 1p36, il CDK4 nel cromosoma 12q14 e il CMM2 nel cromosoma 9p21 erano distintivi della malattia. Con l'epidemiologia e la ricerca in vitro vennero identificate le persone a rischio di melanoma maligno, ed esse vennero invitate a sottoporsi a esami di controllo. [28]
La possibilità di scoprire le vulnerabilità a certi tipi specifici di cancro ci aiuterà ad evitare rischi inutili e a sottoporci a esami specifici con maggior frequenza.
L'NCI (Istituto Nazionale per il Cancro americano) sostiene che negli ultimi decenni la mortalità per cancro è diminuita, grazie al denaro e agli sforzi profusi nella ricerca. In realtà, non è così, è solo un trucco statistico. L'NCI conta come "guarito" ogni paziente che muoia dopo almeno 5 anni dall'inizio del trattamento, e quindi in pratica dalla diagnosi. 25 anni fa la diagnosi veniva fatta in media solo 3 anni prima della morte del paziente. Oggi, con i migliori metodi di diagnosi sviluppati grazie alle osservazioni cliniche, in media si individua il cancro 6 anni prima della morte del paziente. Quindi, l'aumento della sopravvivenza è un dato virtuale prodotto da una diagnosi più precoce: vi è un maggior numero di pazienti che non muoiono entro i 5 anni, e che risultano quindi "guariti", mentre non lo sono affatto. Infatti, dal 1973 al 1992, il tasso di morte per cancro è aumentato del 6,3%.
Inoltre, questa "regola dei 5 anni" non tiene conto della qualità della vita del paziente. Anche se si passano anni in ospedale, nutriti artificialmente, attaccati a un respiratore, impossibilitati a una vita normale, se trascorrono 5 anni senza che si muoia, si è considerati "guariti".
Il tasso di mortalità per cancro, tenuto conto dell'aumento della durata media della vita, si è dimostrato in costante crescita negli ultimi decenni. Venticinque anni di sforzi mirati per la maggior parte a migliorare le cure, si sono dimostrati un fallimento. [29]
L'epidemiologia ha dimostrato che il metodo più efficace per combattere il cancro è la prevenzione. La maggior parte dei casi di cancro può essere eliminata semplicemente cambiando stile di vita e intervenendo sull'ambiente di lavoro. E' questo il vero metodo- efficace, senza alcun costo, per vincere la "Guerra al cancro". Ma è anche quello più sottovalutato dall'industria del cancro: solo una percentuale trascurabile del denaro usato per la ricerca viene incanalato in programmi di prevenzione.
Concludiamo con le parole del dottor Irwin Boss, che ben illustra i legami tra sperimentazione su animali e sconfitta nella guerra contro il cancro:
Da un punto di vista scientifico, quel che conta è che ... i "modelli animali" nella ricerca sul cancro si sono dimostrati un fallimento completo... non un singolo farmaco essenziale per la cura del cancro umano è stato scoperto tramite i modelli animali. Tutti i farmaci ora largamente impiegati in campo clinico sono stati provati su animali solo in seguito a indicazioni sul loro possibile valore terapeutico scaturite dalla ricerca clinica. Il denaro è stato speso... per due scopi principali. Primo, si trattava un'impresa molto remunerativa per le università e istituti di ricerca che non erano in grado di svolgere della vera ricerca sul cancro. In secondo luogo, è stata sostenuta da una nozione antiscientifica e superstiziosa: i topi sono uomini in miniatura... La morale è che il modello animale non solo uccide gli animali, ma uccide anche gli umani. Non c'è alcuna prova sostanziale che dimostri che l'uso degli animali nella ricerca abbia portato alla prevenzione o alla cura di un solo tipo di cancro umano.[30]
[1] "Il mio mentore. Il dott. Beremblum, aveva notato una considerevole discrepanza tra gli effetti del catrame sul topo e sul coniglio, con il coniglio che dimostrava una sensibilità molto maggiore. Questa sensibilità venne misurata attraverso la rapidità con cui apparivano tumori alla pelle. Beremblum era rimasto incuriosito dal fatto che la sostanza cancerogena benzopirene, isolata dal catrame da Kennaway e Cook e considerata il principio attivo del catrame, era, in effetti, più potente nel topo che nel coniglio. Per il catrame era vero l'opposto. In effetti, l'induzione di tumori nel coniglio col benzopirene per iniezione si dimostrò molto difficile, e l'induzione di tumori alla pelle fu molto molto più lenta che col catrame." Human Epidemiology and Animal Laboratory Correlations in Chemical Carcinigenesis Coulston and Shubich eds. Ablex, 1980
[2] Annals of the New Academy of Sciences 1965;132:456-488
[3] Cancer Treat Report 1987;71:71
[4] PPO Updates of Cancer Dec 12, 1987
[5] PPO Updates Oct 10, 1989
[6] Occupational Safety and Health Administration, Federal register 45;15:5069-70, Jan 22, 1980
[7] International Agency for Research on Cancer, IARC Monographs on the Evaluation of the Carcinogenic Risk of Chemicals to Humans, vol. 17, Some N-Nitroso Compounds, IARC, Lyon, 1987
[8] DiCarlo, FJ Drug Met Rev 1984;15:409-13
[9] Efron, E The Apocalyptics, Simn & Schuster, NY, 1984
[10] "Si incontrano molte difficoltà nella stima dei rischi cancerogeni umani dagli studi sui roditori. In primo luogo, le differenze intraspecie come la capacità di assorbimento, attivazione, detossificazione e accumulo delle sostanze chimiche può influenzare il processo di valutazione del rischio di cancerogenicità. Abelson (1992) attira l'attenzione al topo B6C3F1, particolarmente incline allo sviluppo di tumori, che è usato spesso per la valutazioni del potenziale cancerogeno, ma ha un'alta incidenza (fino al 58%) di tumori spontanei al fegato se esposto a dosi elevate di sostanze MDT, mentre altri roditori ne sono poco o per nulla affetti... In secondo luogo, i test delle sostanze chimiche sono condotti spesso a dosi quasi tossiche (la dose massima tollerata, MDT). Ames e Gold (1990) hanno sottolineato il dosaggio cronico alla MTD deve essere visto come danneggiamento cronico, che può causare la morte delle cellule, accompagnata da una proliferazione cronica. Questo può condurre a un processo neoplastico [cancerogeno], che può non essere indicativo del rischio a dosi più basse." Da Regulatory Toxicology and Pharmacology 25:94-102
[11] Come citato in Ruesch, H 1000 Doctors against Vivisection, Civis 1989
[12] Nature Nov 26, 1992
[13] Science vol. 278, Nov 7, 1997 p. 1041
[14] The Cancer Bulletin 1981;33:40-42
[15] BMJ, Dec 2, 1950, p. 1272
[16] Science 1979;204;587-5930
[17] Proc Acad Sci USA 1986;83;4839-4843
[18] Mutation Research, 1984; 134:89-111
[19] Cancer 1980;45:2475-2485
[20] Centers for Desease Control and Prevention's Morbidity and Mortality Weekly Report, July 8, 1994
[21] The Consumers Union Report on Smoking and the Public Interest. Mount Vernon, Consumers Union, 1963
[22] Int J Cancer 1998;75:335-338
[23] The Guardian, July 20, 1991
[24] Occupational Lung Disorders, Butterworth 1982
[25] Toxicology & Industrial Health, 1990;6:293-307
[26] Crit Rev Food Sci Nutr 1995;35:175-90
[27] Reuters March 6, 1998
[28] Mayo Clin Proc 1997;72:467-74
[29] Scientific American Sep 1996, p. 82
[30] Fundamental and Applied Toxicology, Nov. 1982
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