Omeopatia e sperimentazione animale

Riportiamo in questo articolo la prima parte di una intervista alla dottoressa Marina Nuovo, veterinario omeopatico e comportamentalista e Presidente SIOV, pubblicata sul sito de La Cincia onlus, in cui si affronta la questione dell'omeopatia, e più in generale delle cosiddette MNC, cioè tutte quelle tecniche e filosofie di cura che esulano dalla medicina convenzionale allopatica.

In questa parte dell'intervista la dottoressa Nuovo ci fornisce informazioni sulla pratica della sperimentazione animale nell'omeopatia. La seconda parte dell'intervista non riguarda invece la sperimentazione animale, ma รจ relativa all'applicazione dell'omeopatia in veterinaria. Gli interessati possono leggere l'articolo completo alla pagina: Omeopatia e Medicine Non Convenzionali (MNC)

Intervista a Marina Nuovo

Dicembre 2010

D. Una delle inevitabili contraddizioni di chi fa il nostro mestiere con spirito animalista sta nell’uso dei farmaci che, come tutti sappiamo, costano la vita ad innumerevoli animali nei laboratori di vivisezione. La prima questione che vogliamo affrontare è proprio questa: la ricerca e la produzione di rimedi omeopatici segue un percorso analogo a quello dei farmaci tradizionali?

R. E’ singolare che ancora prima di parlare di omeopatia come metodo terapeutico si sia chiamati a rispondere sul tema della sperimentazione, tuttavia l’argomento mi è caro perché negli ultimi mesi è in corso, nell’ambiente omeopatico, un dibattito relativo alla questione sperimentale.
L’argomento del contendere è: le medicine non convenzionali, di quale ricerca hanno bisogno?
Questa domanda investe aspetti etici, cui siamo chiamati a rispondere tutti in quanto cittadini ed esseri umani, e aspetti metodologici, che richiedono una specifica competenza.

Vi sono due aspetti della ricerca in omeopatia. Il primo ha a che fare con il paradigma stesso del metodo omeopatico ed è, come dire, interno allo studio della materia (studio delle sostanze madri, raccolta e verifica dei cosiddetti provings (vedi oltre) conferma clinica dei rimedi utilizzati); questo tipo di ricerca serve agli omeopati per arricchire il proprio arsenale terapeutico, è in continuo divenire e non ha bisogno di “sacrifici”.

Ma c’è un altro tipo di ricerca, definita da alcuni “eso-omeopatica”, che si preoccupa di dimostrare l’effetto clinico dei rimedi omeopatici ma anche la semplice attività delle soluzioni ultra diluite (e sono due campi diversi di ricerca) al fine di ottenere l’accettazione istituzionale dell’Omeopatia. Questa ricerca non aggiunge nulla al sapere di chi conosce, studia ed applica l’omeopatia e ne vede tutti i giorni gli effetti sulla sostanza vivente, ma sembra essere indispensabile per una medicina che ha fatto del riduzionismo il punto di partenza delle sue speculazioni e si ostina a non prendere atto delle evidenze già prodotte.

Va chiarito che la ricerca sugli effetti delle alte diluizioni (fatta perlopiù su modelli vegetali - vedere in proposito i lavori sulle piante della Dott.ssa Lucietta Betti [1]- e su colture cellulari) non è la ricerca sull’omeopatia, per quanto la integri e la completi. L’omeopatia si basa sull’applicazione del principio di similitudine, principio che non rappresenta il fulcro di questi esperimenti, nei quali le sostanze ad alta diluizione da utilizzare sono scelte in base a criteri diversi.
La ricerca che intende dimostrare l’efficacia dell’omeopatia per una certa patologia si avvale di modelli animali: animali di laboratorio, allevamenti, animali d’affezione. Gli omeopati sono divisi circa la necessità di utilizzare animali di laboratorio a questo scopo: a seguito di una recente pubblicazione a firma di importanti ricercatori sulla rivista Psycopharmacology (Studio dell’effetto delle alte diluizioni di Gelsemium Sempervirens su modelli murini di ansia [2]) si è aperto un dibattito che non è ancora concluso. Esso ha investito gli aspetti metodologici di questo tipo di ricerca ma anche, forse soprattutto, quelli etici.

Molti veterinari omeopati, ed io fra loro, ritengono che le ricerche volte a dimostrare l’efficacia dell’omeopatia con l’utilizzo di animali in laboratorio siano fuorvianti perché non consentono una buona applicazione del principio di similitudine a causa delle condizioni di vita artificiose. Inoltre riteniamo inaccettabile continuare a far pagare un prezzo così alto, in termini di sofferenza, ai nostri fratelli più deboli. Poiché l’obiettivo principale dell’omeopatia è promuovere uno stato di equilibrio che conduca ad un benessere globale, non ci possono essere presupposti basati sulla sofferenza e sulla morte.

Per lo stesso motivo, molti veterinari omeopati si rifiutano di lavorare negli allevamenti industriali, dove benessere e salute non possono coincidere e le condizioni di vita degli animali sono spesso al limite del sopportabile.

Riteniamo che per dimostrare l’efficacia dell’omeopatia esistano altre possibilità sperimentali: trial controllati e randomizzati (rct), studi osservazionali e, soprattutto, il confronto tra l’applicazione di questi poiché “ciascun metodo offre risultati che consentono valutazioni secondo diverse prospettive” (Prof. Paolo Bellavite).

Per quanto riguarda l’aspetto relativo alle sostanze utilizzate, i cosiddetti rimedi omeopatici (considerati farmaci , come da risoluzione della FNOMCeO –Federazione Nazionale degli Ordini dei medici Chirurghi e degli Odontoiatri - del 2002, poi fatta propria anche dalla FNOVI –Federazione Nazionale dei Veterinari Italiani), essi non richiedono test alcuno in vivo e la ragione verrà compresa dopo che avrò spiegato qualcosa di più sul paradigma proprio dell’omeopatia.

D. Nelle diverse scuole di pensiero che fanno riferimento alle MNC si può riscontrare una critica esplicita all’utilizzo del modello animale e se si, tale critica è su base scientifica od etica?

R. Credo di avere già risposto a questa domanda. Aggiungo solo che quando si parla di omeopatia è facile fare confusione anche con altre metodiche che condividono con essa la preparazione delle sostanze di base, che vengono cioè ultradiluite e dinamizzate tramite la cosiddetta succussione (di recente ribattezzata SKA –sequential kinetic attivation-) effettuata ad ogni passaggio di diluizione, ma non i criteri metodologici né quelli prescrittivi. Per quanto riguarda queste altre metodiche terapeutiche (omotossicologia, microimmunoterapia, omeopatia di risonanza) la ricerca è volta, come ho già specificato, alla dimostrazione dell’azione delle soluzioni ultra diluite; non sono a conoscenza, all’interno di queste branche, di critiche all’utilizzo del modello animale ai fini sperimentali.

Note

[1] Pubblicazioni L. Betti
[2] Antianxiety activity of Gelsemium sempervirens

Crimini nascosti

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